venerdì 31 maggio 2013

NON DOBBIAMO RINUNCIARE ALLA RAPPRESENTANZA

Il sistema politico-partitico è in crisi gravissima.

Centrodestra e centrosinistra continuano a perdere voti e rappresentano solo gli interessi dei gruppi economici cui fanno riferimento.

Occorre agire, ora, per costruire l'alternativa. Vi proponiamo un interessantissima riflessione di Andrea Bagni, pubblicata sul sito di Alba nazionale (http://www.soggettopoliticonuovo.it/)



Ex voto, dall’abisso della rappresentanza – Andrea Bagni (Ècole)

29/5/2013
Quella di marzo è stata una svolta politica che è risuonata dappertutto. Qualcosa è sembrato cambiare radicalmente e definitivamente. È stato il crollo di Bisanzio che ha descritto Revelli, o la sua delocalizzazione in una specie di outlet village fuori dal mondo. Con il centrosinistra che ha sciolto in un rapido addio un lungo equivoco. Con le regioni più politicizzate d’Italia che abbandonano in massa i seggi elettorali e scavano un amaro abisso fra società e istituzioni.
Un collega dopo la rielezione di Napolitano mi ha detto sorridendo, Ora forse nascerà qualcosa di nuovo, finalmente… E stavolta ci sta che lo voti anch’io. Però era un po’ mogio. I miei colleghi sono un interessante campo di osservazione. Rappresentano il mondo dell’opinione democratica, quella che si entusiasma (giustamente) per Barbara Spinelli e vorrebbe un centrosinistra decente almeno come linguaggio e stile istituzionale. La sensazione era che con la candidatura di Rodotà qualcosa si apriva e poteva riguardare una volta tanto anche “loro”: non solo la sinistra radicale e un po’ patetica di sempre.
Perché il sistema parlamentare sconvolto dal voto ha reagito non solo rifiutando ogni cambiamento ma praticando una sorta di rinuncia a esistere, una cessione di sovranità. Una sbalorditiva confessione di impotenza. Di paura e di estraneità. (Vedi l’idea del minuto di silenzio per la morte di Andreotti, negli stadi… Qualcuno immaginava la condivisione popolare del lutto. E infatti è stato un diluvio di fischi, una radio di Firenze ha letto i nomi dei morti per mafia, nella curva del Torino sono apparse le foto di Borsellino e Falcone).
E infine, in nome di uno stato d’emergenza permanente che obbligherebbe alla delega e all’obbedienza assolute, viene riconfermata la più totale continuità con le politiche recessive ottusamente liberiste per le quali la democrazia, il dibattito pubblico, il confronto delle idee, sono un pericolo mortale: un lusso che non ci possiamo più permettere. Nella crisi è clamorosa la scissione fra capitalismo neoliberista – che non cancella il ruolo degli stati ma li subordina a sé in funzione autoritaria e di controllo – e democrazia costituzionale. Quella democrazia che ha prodotto lo stato sociale e caratterizzato il modello europeo, non a caso oggi in discussione. Non c’è unità possibile per una somma di governi in competizione, privi di demos e di politica. La critica dell’autoritarismo, del presidenzialismo, dell’esproprio delle decisioni sulla propria vita – e sulla propria morte -, è critica a un modello di economia e società che tutto subordina al comando dei mercati, degli stati e della Chiesa. Garanti dell’ordine del materiale e dell’immaginario.
In questo stato siamo.
È anche vero, però, che il paese ha reagito a questo disastro del sistema rappresentativo. Certo, anche con sgomento. Anche smettendo di andare a votare, come vediamo oggi.
In una settimana è cambiato l’intero film raccontato nella programmazione pre-elettorale. Il “voto utile” al centrosinistra per bloccare Berlusconi si è ritrovato in una Santa Alleanza a guida trascendente, presidenziale, e sede ad Arcore. Con la squadra Letta-Alfano che si ritira “per fare spogliatoio”… L’antiberlusconismo peraltro non è mai stato solo questione di stile, utile a nascondere i veri contenuti: della serie sono comunque tutti liberisti antipopolari e antioperai, a noi di sinistra non interessa questa roba da salotto. C’è un’idea e un’etica della democrazia in gioco. La mentalità proprietaria di Arcore sui corpi notturni giovanili è un altro lato del potere del denaro, della mercificazione universale, della violenza simbolica maschile. Proust, quando si accorge che per l’amico la foto di Albertine “fuggitiva” è una discreta delusione, scrive che lascia volentieri le belle donne agli uomini privi di fantasia. Infermiere e suore sexy sono per i compratori finali poveri di spirito e d’immaginazione.
E però la reazione non è stata solo di sgomento. C’è un’Italia che si è anche riconosciuta altrove. Si è schierata con Rodotà una parte tutt’altro che minoritaria del paese. Non per trovare un altro Padre Trascendente cui affidarsi: per indicare un’alternativa di democrazia e laicità. Rodotà è stato una metafora, il simbolo di questo diverso paese. Paese reale. Non importa quanto deluso e frustrato, ancora una volta. Un paese che continua ad appassionarsi, sperare e investire nella speranza.
Certo sappiamo che non si tratta di affidarsi a un nome e a un volto. Come non si trattava di puntare tutto su De Magistris e Pisapia. Il risultato rischia di deludere sempre se fra la rappresentanza e i singoli cittadini non si costruisce niente. Se oltre i soggetti non c’è una soggettività politica.
Tuttavia una speranza è un segno di vita. Al di là degli esiti, c’è uno spazio teorico e perfino emotivo, un sentimento politico da cui queste passioni nascono. Questo accendersi della partecipazione – che se anche passa e sembra spegnersi è comunque stata. Indica una possibilità di resistenza ed esistenza. La capacità di resistere perché si esiste.
Bisognerebbe riuscire a incontrarsi, chiedersi che si vuol fare da grandi, non solo ogni tanto sentirsi figli di qualcuno. Bisognerebbe sentirsi fratelli e sorelle e imparare a farne a meno. Come è giusto che accada prima o poi con i padri – sempre in qualche modo lontani da Itaca.
Però questo mondo democratico tende ad aspettare, come i miei colleghi. Quando è attivo è società che si occupa di società più che di istituzioni rappresentative. A volte con un desiderio triste di riduzione del danno: almeno non abbiamo Berlusconi ministro, Brunetta all’economia, Gelmini all’istruzione. Nella sala docenti anni fa sotto il cartello Vietato fumare era scritto, Non buttate le cicche per terra. Come in subordine fosse ormai la nostra filosofia. Dalla scelta del male minore, al poteva andare anche peggio.
E tuttavia per questo mondo democratico radicale, che ormai sente come il diritto di decidere sulla propria vita, il lavoro, i beni comuni, sia già una politica economica e sociale per un’altra Europa, occorre costruire una rete di relazioni non episodiche, uno spazio d’incontro. E una qualche possibilità di rappresentanza. Non con l’obiettivo di una mini percentuale di testimonianza da sinistra radicale. L’ambizione deve essere alta – quanto è vasta quest’altra Italia. Altrimenti il rischio è che questa fibrillazione che abbiamo sentito resti tale e alla fine diventi estraneità, passività o rabbia. E poi la rabbia difesa dei penultimi dagli ultimi, dell’italianità dagli invasori. Sarebbe il via libera da una società svuotata di vita a un ceto politico di anime morte.
Bisogna mettere in scena un’alternativa, una coalizione democratica. Pensieri e parole che facciano saltare lo spettacolo e liberino donne e uomini dall’essere “pubblico” di uno show in uno spazio politico privatizzato. Audience. Forse oggi non c’è neppure bisogno di aggiungere molto a coalizione democratica. La democrazia costituzionale è divenuta (come già la prima volta) rivoluzionaria. Esprime un’idea di società incompatibile con il neoliberismo che tutto riduce a merce, calcolo e profitti.
Certo, l’abbiamo detto già molte volte. Certo, ci abbiamo già provato. Fuori delle mura di Bisanzio circola anche lo scoraggiamento dell’impotenza, la solitudine densamente popolata d’una moltitudine smarrita. E sento già i commenti dei colleghi. Ancora?, di nuovo un cantiere, costituente consulta rete lista zattera, altri tentativi di mettere insieme… Che palle. Chiamaci quando avete finito. Alba ci prova ma se resta Alba ci vorrà una vita. Libertà e Giustizia non si muove facilmente, Micromega fa una rivista, Emergency fa Emergency, Libera l’antimafia. La Fiom fa la Fiom. E gli incazzati che votano Pd continueranno a votarlo incazzati.
Tutto giusto mi sa. Siamo stanchi di provare, lasciamo perdere.
E però nulla riposa della vita come la vita. Quel “sentimento”, quel progetto politico che esiste anche attraverso la sua assenza, è un desiderio che resiste. Malgrado tutto, malgrado noi. Secondo me bisogna continuare a provare. Alle sconfitte si sopravvive. Le rinunce fanno morire democristiani. O peggio.


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